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Amara lezione

Aggiornamento: 14 giu 2023


Il paese si nutre di pettegolezzi.

Non vive. Si limita a sopravvivere e la sua sopravvivenza è legata inevitabilmente alle indiscrezioni, alle maldicenze, talvolta alle calunnie.

Ogni suo respiro è collegato agli affari altrui.

Ogni battito di cuore è scandito dai cicalecci, dal brusio, dalla risata sardonica, dallo sguardo ottuso di chi vuole sapere.

Il paese non è mai disinteressatamente solidale.

Finge solidarietà indossando una maschera di comprensione e, abbozzando un abbraccio fraterno, fruga nelle tasche dell’intimità.

Niente attira di più di una nuova acconciatura o di un nuovo stile di vita. Nulla appaga di più di un dubbio di fedeltà o di una crisi economica familiare.

Il rigagnolo della curiosità si ingrossa a ogni ultima notizia, vera o falsa che sia, fino a trasformarsi in un fiume in piena.

Ho tentato di sentire senza ascoltare e per un po’ di tempo ha funzionato.

Lasciavo che le loro parole invadessero le mie orecchie come un rumore di sottofondo, fingendo una partecipazione farlocca con piccoli segni di assenso o ridacchiando.

Mi sentivo superiore, onesta, pulita. Credevo di svolgere egregiamente la mia professione, non alimentando voci, ma fingendo una grande capacità di ascolto.

Non entravo mai in conflitto con nessuno dei miei clienti, un po’ per interesse, un po’ per amore del quieto vivere.

I loro commenti pungenti non riuscivano a pungolare il mio interesse.

Mi ero ripromessa di non farmi travolgere da questa onda di bisbigli, ma come può una barista schivare le pozzanghere delle dicerie?

Ci avevo creduto. Avevo creduto a loro e non a lui.

“Voce di popolo voce di Dio” gli avevo urlato mentre gettavo in valigia la mia vita.

Mi osservava con uno sguardo che non volevo decifrare, manteneva un silenzio che solo io consideravo colpevole. In seguito, quando sarebbe stato troppo tardi per tutto, avrei capito che nei suoi occhi c’era incredulità e nel suo mutismo rassegnazione.

Me ne andai lanciando le chiavi di casa sul letto e una sua foto accartocciata per terra.

Avvertivo la presenza dei vicini dietro alle porte e il loro sguardo attraverso gli spioncini.

Pregustavano il successo delle loro maldicenze, ma io non l’avevo capito.

Chiusi il bar, tornai a vivere con i genitori e presi il posto di mia zia nell’attività di famiglia.

I giorni divennero anni e gli anni decenni.

Continuai a rimanere sola.

Lo ritrovai al funerale di un amico comune e solo lì scoprii la verità, solo lì compresi la mia ingenuità.

Mi spiegò che tutto era partito da una battuta mal compresa. Qualche vecchia bigotta l’aveva infarcita di particolari fantasiosi e lentamente, come un piccolo sasso in caduta libera dalla cima di una montagna innevata, si era ingrossata travolgendo la verità.

Aggiunse, però, non senza una punta di soddisfazione, che alla base di ogni relazione dovrebbe esserci sempre e comunque la fiducia reciproca.

Mi salutò freddamente e si allontanò con una donna che compresi essere sua moglie.

Mi osservai intorno. Il paese non era cambiato dalla mia partenza e probabilmente anche la sua cattiveria insita era rimasta immutata, ma ero io ad aver ricevuto un’amara lezione.

Salii in auto e, senza guardarmi indietro, tornai agli ultimi scampoli della mia vuota vita cercando di piangere lacrime che non riuscivano a scendere.



Foto di cottonbro da Pexels



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