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Aspettative: come non essere un buon genitore


Un giovane seduto da solo, con lo sguardo perso nel vuoto e un'espressione triste sul viso

Prima ancora che il neonato possa emettere il suo primo vagito nel mondo, è immerso in una realtà complessa e a tratti bizzarra: le aspettative.

L'attenzione iniziale è la salute del nascituro, un desiderio giustificato e fondamentale per ogni genitore e familiare. Tuttavia, una volta oltrepassata questa fase di preoccupazione iniziale, i genitori iniziano a dipingere un panorama di sogni e a tessere una rete intricata di ambizioni.

Inconsapevolmente ci ritroviamo a voler garantire tutto ciò che noi non abbiamo ricevuto, come l'opportunità di proseguire gli studi e di sperimentare sport o interessi che ci sono sfuggiti. Costruiamo una rete di relazioni che consideriamo sicure, perché temiamo che le compagnie sbagliate possano influenzare i nostri giovani.

Tentiamo di immergerli nella nostra cultura, nella nostra musica, nei nostri libri e nei nostri giochi, dimenticando che la loro realtà è radicalmente diversa da quella che abbiamo conosciuto noi.

E poi, senza preavviso, il bambino che aveva camminato lungo il sentiero che avevamo tracciato per lui, inizia a prendere una direzione diversa. Gli apparecchi audio diffondono canzoni rap dal linguaggio colorito e da scenari preoccupanti. Il libro che avevamo sperato diventasse un compagno di avventure giace intonso per giorni. Monopoli e Scala Quaranta cedono il passo alle avventure virtuali.

Il terreno vacilla sotto i nostri piedi, ma abbiamo ancora un paio di piccole illusioni da coccolare: la scuola e lo sport.

Nell’equazione delle aspettative il concetto di fallimento scolastico non è contemplato e nel mondo sportivo i risultati al di sotto del podio nazionale sono inaccettabili.

E se i genitori detengono un ruolo predominante in questa visione, insegnanti e allenatori contribuiscono in modo significativo in questa realtà malata, apportando ancora più pressione.

Non sono sufficienti due ore al giorno di studio per raggiungere l’eccellenza, non sono abbastanza tre giorni di allenamento da due ore ciascuno per emergere. E dietro a queste esigenze si nasconde una ferma convinzione: tutto ciò è richiesto per il loro bene.

“Queste abilità ti saranno estremamente utili nella vita di tutti i giorni”, “questo stress ti preparerà per il mondo del lavoro”, “questa pressione ti motiverà a dare il meglio costantemente, come individuo, padre, marito, figlio, nipote e cittadino del mondo”.

Quasi come un atto di rivalsa per aver deviato dal percorso che avevamo pianificato, accettiamo i loro interessi, ma ci riserviamo ancora una volta il diritto di stabilire le regole del gioco.

Non c’è spazio per le giornate storte, per una performance sufficiente, per momenti di pigrizia e noia.

Accediamo con affanno al registro elettronico con la speranza di trovare solo voti colorati di verde, esaminiamo le classifiche sperando di ritrovare il nome di nostro figlio fra i primi posti nazionali e poi, inevitabilmente, facciamo il raffronto con gli altri compagni di classe e di squadra.

Sembra che gli altri siano sempre un gradino sopra al nostro erede. “Hai preso 6? Ma i tuoi compagni hanno tutti preso 8”. “XY è stato bravo: ti ha battuto, e non di poco”. E dopo averlo messo a disagio, cerchiamo maldestramente di rimediare con un poco convincente “sei stato bravo”.

Ogni tanto un senso di colpa fa capolino, ma lo ricacciamo indietro con l’idea che anche loro, quando arriverà il loro turno di crescere un figlio, agiranno allo stesso modo.

Essere genitori sarà il compito più difficile del mondo, ma essere figli del nostro tempo, a volte, lo è altrettanto.


Aspettative: come non essere un buon genitore.


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