La presunzione dei fragili, ovvero come non essere campioni
Aggiornamento: 14 giu

Prima gara federale di tiro a segno 2023.
Primo turno.
In linea una giovane carabinista di grande talento.
Tira un colpo, appoggia la carabina al bancone e comincia a piangere. Si allontana singhiozzando dalla linea seguita da una tiratrice più anziana che la consola amorevolmente.
Mi avvicino al suo bersaglio: ha tirato un 9.8.
La ragazza è atleta della nazionale Juniores, è sempre ai vertici della classifica italiana e ha terminato con un eccellente 623.
Secondo turno.
Fuori dalla linea, singhiozzante, un’altra giovanissima carabinista. Si avvicina quello che penso essere il suo allenatore e le chiede cosa fosse successo.
La ragazzina risponde di aver fatto un paio di brutti colpi. L’uomo risponde con il commento idiota “Stiamo a vedere quanto hai fatto”.
Qualche ora dopo controllo le classifiche: l’atleta è prima con un ottimo punteggio.
Terzo turno
Un giovane manifesta a un compagno di squadra la sua personalissima opinione circa la gara appena terminata: “Anche tu hai fatto una gara di merda come la mia”. Nessuna domanda, solo semplice constatazione e tutto ciò prima ancora di conoscere i rispettivi punteggi.
Per chi non conoscesse lo sport del tiro a segno questi numeri potrebbero apparire incomprensibili e per rendere più chiaro questo mio preambolo vi basti sapere che la prima ragazza descritta, classe 2006, al suo primo anno come juniores, nella gara condita da lacrime salate ha battuto atlete molto più anziane di lei e con molta più esperienza.
La seconda ragazzina, 11 anni, ha esordito ieri e il suo punteggio oltre a essere molto più che dignitoso l’aiuterà sicuramente a qualificarsi ai campionati italiani.
Il ragazzo, invece, si è avvicinato a questa disciplina solo negli ultimi mesi e, alla sua terza gara, ha già superato l’ambito punteggio di 600. Conosco tantissimi atleti che farebbero salti di gioia e festeggerebbero per giorni se in gara riuscissero soltanto ad avvicinarsi a questo primo traguardo significativo.
Invece lui, strafottente e arrogante, vomita su quei punti così preziosi che potrebbero garantirgli l’accesso alla finale di campionato.
Lo sport, si sa, è competizione.
Lo sport, però, deve essere anche riflessione, comprensione dei propri limiti, capacità di capire l’errore commesso e, soprattutto, umiltà.
Mi domando cosa farebbero gli atleti descritti di fronte a un vero flop, a un crollo emotivo durante la gara o, più banalmente, a una giornata storta.
Cosa farebbe la juniores se dovesse ritrovarsi improvvisamente non più convocata in nazionale o se l’allieva dovesse essere battuta da un suo compagno di squadra?
Cosa accadrebbe al giovane superbo se alla prossima gara dovesse terminare con dieci punti in meno rispetto al suo ultimo punteggio?
Si deve imparare dagli errori, non dai successi. Forse questa sarebbe stata la frase più appropriata che l’allenatore di ieri avrebbe dovuto dire alla giovanissima carabinista. Avrebbe dovuto soffermarsi sulle impressioni di gara, farle comprendere che la perfezione non è di questo mondo, che affronterà gare molto più impegnative e apparentemente ingestibili, che un punteggio non determina la capacità di un atleta. Sono altri i parametri da considerare, primo fra tutti la capacità di affrontare le sconfitte.
Con sincerità ammetto che le loro lacrime non mi hanno commosso, non mi hanno fatto provare tenerezza, ma nervosismo e disagio per giovani fragili e al tempo stesso presuntuosi che affidano alla disperazione e alla critica più feroce ciò che loro e solo loro considerano un fallimento.
E’ encomiabile non vedere limiti alle proprie capacità, ma negare l’evidenza di ottimi risultati è quanto meno irritante.
Seguirò il loro percorso con molta curiosità e pochissima empatia.
E come canta Sting “Every step you take I’ll be watching you” per quanto possa importare a questi giovani campionissimi.