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Prima e dopo

Aggiornamento: 14 giu 2023



Il suo "prima" erano le ginocchia sbucciate e un pallone da calcio sotto un piede.

Ricordava bene quella giornata. Come avrebbe mai potuto dimenticarla.

Era la giornata del trionfo. Era l’inizio del “dopo”.

Si era aggiudicato il premio di miglior giocatore della stagione, la sua squadra aveva vinto il campionato e l’aspettava un ghiacciolo gratis che il parroco aveva promesso a tutti loro.

Rammentava le pacche sulle spalle, la medaglia intorno al collo e la coppa sopra la sua testa mentre il sagrestano scattava la foto della vittoria.

Sognava una carriera da calciatore, San Siro e l’Olimpico. Immaginava il suo volto impresso su una figurina Panini.

Non pensava ai soldi. Quelli li avrebbe avuti sempre. I suoi gli davano una bella paghetta e se la sarebbe fatta bastare per tutta la vita.

Nei suoi pensieri di bambino non esistevano mutui da estinguere, bollette da pagare e alimenti da comprare.

I soldi non erano importanti. L’unica priorità per lui era essere ricordato come il miglior giocatore di tutti i tempi.

A questo pensava mentre si dirigeva a casa con suo padre, mentre aprivano la porta d’ingresso, mentre il padre chiamava la moglie annunciando il loro rientro.

Continuò a fantasticare anche quando vide sua madre volare.

Fu quello il suo pensiero quando si accorse che i piedi della donna non toccavano terra, quando suo padre urlò “Maria” spingendolo via, lontano da quella strana visione.

Cominciarono a diffondersi grida e si chiese cosa stesse accadendo.

La mamma aveva imparato a volare. No, si corresse. La mamma ha imparato a lievitare.

Quello strano pensiero gli rimase impresso per qualche secondo.

La mamma lievitava perché intorno al collo aveva il suo foulard preferito che stava sfidando la legge di gravità. Il foulard non ricadeva sul suo seno come avrebbe dovuto.

Il foulard era attaccato a una trave. Quella bella trave a vista che tutti gli amici di papà invidiavano dicendo che aveva fatto bene a recuperare e mantenere.

Sua madre aveva una strana espressione.

Suo padre aveva avvicinato una sedia e con un coltello aveva tagliato quel bel grande fazzoletto a pois.

Lo sentiva piangere e implorare il bambino di andare via. Diceva che la mamma si era fatta male mentre stava pulendo.

Il bimbo arretrò senza mai allontanare gli occhi dalla scena.

Ora la mamma era sdraiata a terra. Il padre si precipitò verso il telefono. Fece un numero, riattaccò, imprecò. Riprese il ricevitore in mano e ricompose di nuovo un numero.

Lo sentì parlare con qualcuno. Piangeva e parlava.

Il giovane ritornò sui suoi passi.

“Mamma” sussurrò “mamma, svegliati”.

Poi l’avvolse il buio.

Un brusio lo risvegliò. Era su un letto. Riconobbe la sua scrivania e sopra la coppa.

Sua mamma non l’aveva ancora vista. Non le aveva ancora detto che era stato il migliore di tutti, che la sua squadra aveva vinto, che sarebbe diventato un calciatore famoso.

Poi, improvvisamente, tutto riaffiorò nella sua memoria.

Sua madre non avrebbe saputo nulla di quella giornata. Non avrebbe mai scoperto quanti goal aveva fatto e chi aveva vinto il premio di miglior giocatore della stagione.

Sua madre non gli avrebbe più fatto i complimenti, non si sarebbe più vantata di fronte agli amici, non gli avrebbe più messo l’acqua ossigenata sulle sbucciature.

E come una strana epifania tutto gli risultò chiaro.

C’era stato un “prima” fatto di normalità e di certezze e un “dopo” che gli avrebbe insegnato che la normalità era solo una parola e la certezza un’illusione.

Non ci sarebbe stato nessun futuro per lui come calciatore. Odiava il calcio e odiava quel pallone che aveva rincorso tutte le domeniche.

Se solo fosse rimasto a casa il “dopo” non sarebbe accaduto e avrebbe vissuto per sempre in quel “prima” così sicuro e confortante.

Sua mamma diceva che era inutile piangere sul latte versato.

Si asciugò le lacrime con la manica della maglia di calcio che ancora indossava, scese dal letto e si unì al dolore della famiglia al di là della sua camera.

Il “dopo” era appena iniziato.


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