Stefania Lusetti
“The Last of Us”: uno splendido omaggio a un grande videogioco.
Aggiornamento: 5 giorni fa

HBO, la nota emittente televisiva americana, ha rischiato molto quando ha accettato di produrre la trasposizione del pluripremiato videogioco di Naughty Dog “The Last of Us”.
Il rischio era quello di trasformare una storia complessa e completa in un horror dozzinale dove compaiono per l’ennesima volta zombie assetati di carne umana e uomini pronti a difendere la propria vita ad ogni costo.
Così non è stato.
Grazie a una sceneggiatura equilibrata e a una regia capace la serie ha conquistato pubblico e critici in ogni parte del globo, rendendo un doveroso omaggio a un bellissimo videogioco.
La prima puntata, in pochi minuti, ci proietta in un mondo post-apocalittico a causa di un’infezione da fungo Cordyceps che, attaccando il cervello, tramuta gli infettati in cannibali, veri e propri zombie sempre in cerca di carne umana.
Vent’anni dopo i primi contagi i sopravvissuti vivono in avamposti controllati dall’esercito militare. Chiunque venga sorpreso a uscire dall’enclave sarà giustiziato.
Com’è facile immaginare, un clima militare e di dittatura non può fare altro che generare un sottobosco di malavitosi, contrabbandieri, sciacalli e ovviamente un gruppo organizzato di ribelli che si fa chiamare “Luci”.
I protagonisti indiscussi di questa storia sono Joel e Ellie.
Joel, un cinquantenne disilluso che ha vissuto la fine del mondo come lo conosciamo e, soprattutto, la tragedia più grande che potrebbe vivere un genitore, ovvero la perdita di una figlia, è sopravvissuto in un mondo senza futuro. Critico e cinico non si schiera con nessuno. Il suo unico scopo è raggiungere il fratello in un altro stato.
Ellie, una quattordicenne preziosa per la resistenza perché ritenuta immune ai morsi degli infetti, è nata dopo l’inizio della pandemia ed è una ragazza irriverente come possono esserlo solo gli adolescenti vissuti senza affetto, cresciuti troppo in fretta in un mondo distopico e regolato da regole fatte per essere infrante, ma che ripone in Joel tutte le sue speranze di sopravvivenza nel loro lungo viaggio verso un futuro sempre più incerto e pericoloso.
In cambio di un veicolo per raggiungere il fratello, Joel riceve l’incarico di portare la ragazzina verso un avamposto delle Luci, dove alcuni medici potrebbero studiarla per creare un vaccino.
Ciò che rende unico il videogioco e, conseguentemente la serie, è lo spessore che i protagonisti, puntata dopo puntata, assumono, diventando personaggi a tutto-tondo annullando ogni rischio di stereotipizzazione.
Le prime puntate, a tratti delicate, assumono via via contorni più marcati e decisi fino a proiettarci in una realtà fatta di disperazione e disillusione, dove il vero pericolo non è rappresentato dai mostri, ma dai non infetti, uomini sani che, con la scusa di organizzare un nuovo mondo, non esitano a tradire e a uccidere.
“The last of us” illustra il genere umano dedito esclusivamente alla propria sopravvivenza e, naturalmente, irrispettoso della vita altrui, parla della solitudine in un mondo morente e della totale mancanza di fiducia nel prossimo.
Eppure, in tutta questa disperazione e in una terra senza futuro, affiora sempre la speranza, la volontà di credere in qualcosa, di andare avanti vivendo, giorno dopo giorno, quella che solo apparentemente si può definire una non-vita.
Ne sono esempi la toccante storia d’amore di Bill e Frank, unici cittadini della cittadina di Lincoln, trasformata da Bill in un complesso fortificato o il flashback in cui Ellie trascorre una notte in un vecchio centro commerciale con l’amica di sempre, Riley, fino al morso di un infetto subìto da entrambe.
Oppure l’incontro di Ellie e Joel con Henry e Sam, due fratelli che si nascondono dai “Cacciatori”, ovvero un gruppo di ribelli che hanno preso possesso di Kansan City e che vogliono vendicarsi di Henry ritenuto responsabile della morte di uno di loro. Storie sussurrate in un dramma che richiama, a tratti e senza gli stessi eccessi, da un punto di vista psicologico e comportamentale, la nostra recente esperienza con la pandemia.
I due protagonisti, durante il loro lungo viaggio, impareranno a conoscersi e ad apprezzarsi fino all’epilogo in cui Joel, in un violento finale rappresentato da una carrellata di colpi di fucile e di morte attutita dalla musica struggente di Gustavo Santaolalla, già autore delle musiche del videogioco, riprende il ruolo di padre abbandonato dopo la morte della figlia.
E come un buon padre farebbe per proteggere i propri figli da verità destabilizzanti, Joel racconta a Ellie una bugia. Anche se i suoi occhi dicono altro la ragazza si fa bastare questa falsa verità, accettando così il ruolo, a lei estraneo, di figlia. Così si chiude la prima stagione.
Tanto si è scritto di Bella Ramsey, l’attrice con il difficile compito di coprire il ruolo di Ellie e che tante critiche ha ricevuto per la totale mancanza di somiglianza con l’attrice che aveva prestato il volto al videogioco.
Esiste solo un aggettivo per definirla nella sua interpretazione: straordinaria!
Onestamente, e lo confesso in queste righe anche a mio figlio, grande fan del videogioco, ero un po’ scettica sul risultato finale del prodotto della HBO.
Ero certa di assistere all’ennesima storia di zombie, all’avventura trita e ritrita di un viaggio coast to coast in compagnia di mostri, cow boys e cattivi di ogni specie, e che, al termine della nona puntata avrei liquidato la visione con un banale “fatto bene, ma il gioco è meglio”.
Ammetto: mi sono sbagliata.
E, insieme ai numerosissimi fans, attendo il secondo capitolo, augurandomi la stessa energia e lo stesso garbo dimostrati nella prima serie.
Visione consigliata a tutti, anche a chi non conosce il videogioco.