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  • Immagine del redattoreStefania Lusetti

Vite imperfette


foto di Ivan Samkov da Pexels
Vite imperfette in mondi diversi - foto di Ivan Samkov da Pexels

Una vita illuminata e riscaldata da un sole mai offuscato. Tutto brillante, preciso, perfetto. Mai nulla fuori posto.

Così appariva la sua esistenza ai miei occhi adolescenti e io, a volte, mi sentivo inadatta a quell'amicizia preziosa e invidiata.

Cercavo di trovarmi con lei lontana dalla loro casa e dal loro quartiere raffinato.

La villa in cui abitava era immersa in un giardino ordinato e rigoglioso. Nascosta fra alberi secolari, invece, c’era una piscina con annesso un trampolino.

Solo una volta accettai il suo invito a trascorrere un’afosa giornata di luglio nella sua casa. Si dimenticò di avvisarmi che avremmo passato quelle ore in acqua e quando arrivai mi chiese scusa e mi prestò un costume di sua madre. Uno dei suoi sarebbe stato troppo piccolo per le mie forme abbondanti.

Fu l’unica volta che andai da lei. Quella ricchezza mi metteva a disagio.

Forse lei lo intuì perché mai si lamentò dei miei dinieghi ai suoi inviti. Quindi era sempre lei a raggiungermi e ad accontentarsi di una roggia in campagna.

La vedevo come un piccolo diamante in attesa di essere incastonato in un futuro per lei prevedibile, per me inimmaginabile.

La mia vita imperfetta all’ombra della sua.

Frequentava i miei amici, divertenti ma grezzi. Accettava ogni nostra goliardata, rideva con noi, scherzava con noi. Sembrava una di noi, ma non lo era. Non lo sarebbe mai stata.

Mia madre mi chiedeva cosa ci facesse una come lei con una come me.

Non lo diceva con disprezzo, ma a me sembrava tale. E io facevo spallucce e uscivo dal nostro soffocante appartamento di periferia sbattendo la porta e allontanandomi da quel formicaio di palazzi tutti uguali.

Un giorno mi citofonò. Era ora di cena e mio padre tuonò contro quella visita inattesa.

Lei mi implorò di scendere e io lo feci, ignorando le proteste dei miei genitori.

La trovai seduta sul gradino dell'ingresso. Notai subito che indossava una maglietta sformata e un paio di jeans scoloriti. Il suo abbigliamento era così lontano dal suo essere.

Era struccata, i capelli raccolti in una lunga e disordinata coda di cavallo, gli occhi gonfi.

Mi sedetti accanto rimanendo in silenzio. Attesi che fosse lei a parlare per prima.

"Mio babbo è stato arrestato per bancarotta fraudolenta".

Lo mormorò a denti stretti mentre tentava di reprimere un singhiozzo.

Non replicai di fronte a quelle parole misteriose già sentite in qualche telegiornale della sera.

"Siamo nei guai. Grossi guai" e scoppiò in lacrime mentre tentava di spiegarmi il crimine di cui si era macchiato il padre.

Non capii molto. Un po' perché la materia mi era completamente estranea e un po' perché la mia mente vagava altrove.

Pensavo alla mia esistenza tutt'altro che impeccabile, ai problemi economici della mia famiglia, ai miei vestiti dozzinali e alla mia scuola di periferia destinata agli emarginati e poi osservai lei.

Per la prima volta la guardai bene.

Quella piccola gobba sul naso, la bocca un po' troppo grande, la sua esagerata magrezza. Era bella, ma non perfetta.

Nessuno lo era.

Cristalleria in bella vista e spazzatura sotto il tappeto. Così mi apparve improvvisamente il suo mondo.

Ora, qualcuno aveva tolto il tappeto e tutta la polvere ben nascosta si era sollevata ricoprendo la lucentezza della sua esistenza.

Feci poco per consolarla. Non potevo fare nulla se non ascoltarla e abbracciarla.

Non volevo mentirle dicendo che tutto si sarebbe risolto. Il mio quartiere era scuola di vita e quando uno finiva in galera difficilmente ne usciva senza sentire per anni il peso di una sofferenza sia fisica che mentale.

Suo padre se la sarebbe cavata, ma la loro vita non sarebbe più stata la stessa.

Addio alla villa, addio al giardino, addio alla piscina.

Eppure, l’improvvisa povertà della mia amica, ancora una volta, non poteva essere paragonata alla mia.

Non era una questione di soldi o di successo, ma di origini, di famiglia, di contesto sociale.

Le nostre realtà erano e sarebbero state per sempre contrapposte.

Una settimana dopo si trasferì con sua madre in un paese dell'Abruzzo.

Ci scrivemmo per un paio di mesi. Lei mi raccontava di quanto fosse bello vivere accanto al mare e io di quanto caldo ci fosse in città.

Poi ci perdemmo di vista, entrambe impegnate a vivere le nostre vite imperfette in mondi diversi.

(foto di Ivan Samkov da Pexels)

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