top of page

Villa Fiorita

Era seduto accanto a me, silenzioso come sempre.

Non guardava la strada di fronte a noi, ma dallo specchietto retrovisore laterale osservava ciò che stava lasciando.

Mancavano una decina di chilometri. Una manciata di minuti che avrebbe trasformato la mia vita, quella di Gloria e di mio padre, ma non ero più sicuro fosse veramente la cosa giusta da fare.

Lungo la strada cominciai a incontrare cartelli indicatori con la scritta “Casa di Riposo Villa Fiorita” e li odiai. Lui, invece, sembrava ignorarli.

Rallentai e finalmente gli parlai.

“Come stai? Vuoi che ci fermiamo da qualche parte?”

Non rispose. Si limitò a girare la testa dalla mia parte e sorridermi in quel modo disarmante che sanno fare soltanto i bambini e gli anziani.

Capii che voleva fermarsi e rimandare di qualche minuto l’inizio di quella nuova e ultima vita.

Fermai l’auto davanti ad una pasticceria e lo aiutai a scendere.

“Ora facciamo una bella colazione. Ci prendiamo un paio di cappuccini, delle paste e al diavolo tutte le diete”.

I suoi occhi si illuminarono. Bastava così poco per renderlo felice.

Ci sedemmo a un tavolino in fondo al locale, nell’angolo più tranquillo e appartato, lontano, soprattutto, dal popolo degli impiegati scesi dai loro uffici per la pausa di metà mattina.

“Cosa prendi? Va bene il cappuccio?” Annuì con la testa. “Da quanto tempo non facciamo più colazione insieme? Da tanto, vero?” Non mi rispose: era troppo impegnato a osservare il barman mentre preparava la nostra colazione. Qualche attimo dopo ci portarono quanto ordinato.

Io non toccai nulla. Quel giorno il mio stomaco si rifiutava di accettare qualsiasi cosa.

Mio padre, invece, mangiò le sue paste e bevve il suo cappuccino con tranquillità.

Sembrava sereno, rilassato, attento soltanto a ciò che stava mangiando.

Continuai a osservarlo ricordando l’ultima frase che avevo pronunciato, quel “da quanto tempo non facciamo più colazione insieme”.

Cercai di ricordare quando era stata l’ultima volta che avevo condiviso con mio padre quel particolare momento della giornata e, per quanto mi sforzassi, non mi venne in mente nulla. Non servì neppure ritornare con la mente ai giorni della mia infanzia. Lui lavorava di notte e l’unico giorno di risposo della settimana che aveva lo trascorreva per lo più a dormire. Quando andò in pensione io avevo già lasciato la casa da anni per andare a vivere con Gloria.

Ricordavo mio padre a pranzo, a cena e nella sua costante abitudine della camomilla prima di coricarsi, ma mi mancava la sua immagine a colazione.

Cercai di catturare ogni suo movimento. Quel modo di versare lo zucchero, avvicinare la tazza alla bocca, asciugarsi le labbra con il tovagliolo, addentare la pasta velocemente per evitare che la crema lo sporcasse e quel suo sorriso.

Presi la mia decisione.

Pagammo e uscimmo dal locale. Lo aiutai a salire in auto e dopo aver avviato il motore tentai un’inversione.

Sentii la mano di mio padre sul mio braccio, mi voltai.

Finalmente mi parlò “Andiamo. Non perdiamo tempo. Vieni a trovarmi tutte le settimane. Ti aspetto ogni domenica per la colazione”.

Riprendemmo il nostro viaggio seguendo l’indicazione del cartello stradale “Casa di Riposo Villa Fiorita”.

bottom of page