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Vita 2.0

Aggiornamento: 14 giu 2023



Adele si alzò forzatamente.

La bocca secca reclamava acqua e il buio dietro la finestra le fece capire che aveva dormito troppo.

Fu tentata di sdraiarsi nuovamente e lasciarsi avvolgere dallo stesso sonno inquieto di quel pomeriggio da dimenticare, ma doveva reagire.

Aveva dei figli a cui badare.

Oltre la porta il silenzio.

Si chiese se il marito fosse uscito portando con sé i ragazzi.

Accese la luce e aprì l’anta dell’armadio dove era collocato lo specchio. Gli occhi erano gonfi, il volto pallido, lo sguardo infelice.

Chiuse l’anta e aprì la porta avviandosi verso la cucina, convinta di trovarla vuota.

“Ciao mamma” Rebecca, seduta al tavolo, fu la prima ad accorgersi della sua presenza.

Lorenzo, intento a guardare il cellulare, alzò lo sguardo osservando distrattamente la madre.

“Dov’è vostro padre?”

“E’ uscito” rispose il ragazzo accompagnando la frase con uno sbuffo.

La donna guardò l’orologio sul muro. Era tardi.

“Avete mangiato?”

Entrambi i figli annuirono.

Si sedette al tavolo ancora apparecchiato, prese il bicchiere di fronte al figlio e versò dell’acqua.

Avvicinò il bicchiere alla bocca, ma non bevve.

Pensò a un gesto estremo. Pensò che di fronte a un atto simile qualcosa sarebbe cambiato.

Si chiese se fosse stata in grado di farsi morire di fame o di sete, magari entrambi, fino a quando…

Fino a quando? Si domandò.

Cosa sarebbe servito attirare l’attenzione inscenando un plateale quanto stupido – e per lei impossibile – tentativo di suicidio.

Nulla avrebbe potuto cambiare la sua nuova esistenza. Niente avrebbe potuto riportarla indietro nel tempo.

La sua vita si era appena trasformata in nuova versione. Una nuova vita versione 2.0.

L’idea di paragonare la sua vita a una nuova release di un videogioco la fece ridere sonoramente. Una risata malsana, cattiva, quasi isterica.

Si accorse degli sguardi preoccupati dei ragazzi e smise immediatamente.

“E’ andata da quella…” avrebbe voluto aggiungere “puttana”, ma si fermò.

Nessuna risposta.

Si era ripromessa di non parlare di lei di fronte ai figli, ma aveva fallito.

“Andate a preparare gli zaini, domani c’è scuola”

Rebecca si alzò, si avvicinò alla madre e l’abbracciò. Lorenzo rimase a osservarle prima di avviarsi verso la sua camera seguito subito dopo dalla sorella.

Lentamente sparecchiò, mettendo tutte le stoviglie nel lavello.

Sentì le chiavi nella serratura, un paio di scatti e il rumore della porta di casa aprirsi e poi chiudersi.

Giovanni era tornato.

Adele, pentita di non aver lavato il volto, cominciò a lavare i piatti.

Percepiva lo sguardo di lui sulla sua schiena, ma non si voltò.

“Mi spiace Ade. Mi spiace veramente, ma dobbiamo pensare al bene dei ragazzi. Non possono più vivere fra i nostri litigi”

La donna continuò a tacere, tenendo sotto controllo la furia di una donna tradita, abbandonata, incompresa. Una donna vittima dell’egoismo del proprio uomo.

Si accanì con la spugna a pulire un coltello particolarmente sporco di formaggio e si immaginò quello stesso coltello conficcato nel cuore di quello che a breve sarebbe diventato il suo ex marito.

Poi dirottò i suoi desideri crudeli verso l’amante del marito e le augurò mentalmente prima una malattia lunga e devastante, poi la solitudine e infine la morte

Si vergognò quasi subito di quei pensieri disumani, così lontani dalla sua indole accomodante e pacifica.

Sentiva Giovanni parlare, dare spiegazioni, motivare le sue scelte, ma lei aveva smesso di ascoltarlo quasi subito.

Si ritrovò a immaginare il chiacchiericcio dei parenti, delle amiche, dei genitori dei compagni di scuola dei figli.

“Il marito le ha messo le corna” sarebbe stata la frase che avrebbero mormorato al suo passaggio “Ne ha trovata una più giovane e più bella. Chiamalo scemo!”.

Strinse con più forza quel coltello orami pulito, ma non sembrava accorgersene.

Pensava a come sarebbe cambiata la sua vita, alle difficoltà che avrebbe incontrato a gestire la quotidianità.

Sentiva l’uomo blaterare dietro di lei.

Si stava voltando per ribattere, inveire, urlare frasi oscene. Era furibonda e voleva annientare a parole quell’uomo che sentiva estraneo, quasi alieno.

Lo odiava. Odiava il padre dei suoi figli.

Improvvisamente avvertì bruciore e poi dolore.

Abbassò lo sguardo sulle mani.

Vide il sangue scorrere e creare un rivolo fino allo scarico.

Ipnotizzata lo lasciò fluire e ne raddoppiò il flusso stringendo la mano ferita.

Il taglio era profondo. Avrebbe avuto bisogno di qualche punto di sutura, ma ci avrebbe pensato più tardi.

Le fitte svuotarono improvvisamente la sua anima da ogni veleno di cui era intrisa fino a qualche secondo prima.

Prese lo strofinaccio e lo avvolse intorno alla mano.

Si voltò e guardò Giovanni cercando nel suo volto i tratti che l’avevano fatta innamorare vent’anni prima, Non ne trovò.

“Sopravvivrò” mormorò mentre guardava lo strofinaccio impregnato di sangue

“Vado in ospedale a farmi medicare.” E prima di attendere una qualsiasi reazione del marito aggiunse “Vado sola”.

Si avviò verso la porta di casa, afferrò borsa e giacca dall’attaccapanni e uscì, consapevole che da quel momento avrebbe cominciato a vivere la sua vita 2.0.




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